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Boom dei voucher, crescono ancora i buoni lavoro venduti in Puglia

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I dati Inps elaborati da Confartigianato mostrano un aumento del53% rispetto al primo trimestre del 2015. Cresce ancora senza sosta l’utilizzo dei buoni lavoro: nel primo trimestre di quest’anno sono stati venduti in Puglia circa un milione e mezzo di voucher (1.437.244). Rispetto al primo trimestre dell’anno scorso si registra un’impennata del 53,1 per cento. Un boom notevole: basti pensare che nel 2008, in Puglia, furono “staccati” appena 2.443 buon lavoro. È quanto rileva il Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia su dati Inps. I buoni lavoro (o voucher) del valore di 10 euro (7,50 euro vanno in tasca al lavoratore mentre la differenza di 2,50 euro, invece, viene in parte versata all’INPS come contributo per il lavoratore e in parte all’INAIL come assicurazione contro gli infortuni) rappresentano un sistema di pagamento che i datori di lavoro (committenti) possono utilizzare per pagare le prestazioni di lavoro accessorio, cioè quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale contratto di lavoro, in modo discontinuo e saltuario. Il vantaggio principale per il lavoratore è che il compenso è esente da ogni imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato. È, inoltre, cumulabile con i trattamenti pensionistici. Il committente, da parte sua, può beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura assicurativa Inail, in caso di eventuali incidenti sul lavoro, e senza dover stipulare alcun tipo di contratto. “La continua crescita del lavoro accessorio – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – è un fenomeno che occorre valutare con attenzione. Di sicuro, un rapporto di lavoro legale è preferibile rispetto al lavoro nero ed è proprio per questo che nascono i voucher: per consentire l’emersione di nicchie di lavoro discontinuo e saltuario, come tale molto esposto al rischio di sommerso. Eppure – continua Sgherza – questi numeri in costante e rapido incremento sono sintomo di un mercato incapace di proporre occupazione stabile, con le imprese che, specie in alcuni settori, fanno ancora molta difficoltà a programmare le proprie attività su periodi medio-lunghi”.  

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