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La donna nigeriana, in carico al progetto Libera, ha ottenuto dalla commissione leccese il riconoscimento dello status di rifugiata. Era stata schiava sessuale di Boko haram. Esattamente a due anni di distanza dal rapimento delle 219 studentesse nigeriane per mano di Boko Haram, arriva dal Salento una storia terribile con un meritato lieto fine. Una donna nigeriana in carico al progetto Libera di Lecce, anch'ella schiava sessuale di Boko Haram, vittima di tratta e perseguitata nel paese di origine perché omosessuale, è riuscita finalmente ad ottenere lo status di rifugiata dalla commissione territoriale leccese. A darne notizia è Ines Rielli, responsabile del progetto, che racconta la sua epopea, simbolo di quanto le donne siano spesso costrette a subire prima di approdare sulle nostre coste: “E’ il giusto epilogo per una donna che per evitare discriminazioni, persecuzioni, violenze dovute al suo orientamento sessuale, è stata costretta a fuggire con la sua compagna dalla Nigeria”. Rapita insieme alla sua compagna dagli uomini di Boko Haram, ha subito ogni orrore possibile, tra violenze e stupri. Costretta a diventare una schiava sessuale, ha vissuto in una capanna di fango insieme ad altre donne che avevano subito lo stesso destino nella capitale dello stato federale di Borno, a Maiduguri, città della Nigeria completamente conquistata militarmente e islamizzata. “Alle donne venivano somministrati farmaci anticoncezionali che arrivavano in elicottero, come il cibo” racconta ancora Ines Rielli. “Se qualcuna di loro restava incinta, pagava con la morte. E’ ciò che accadde alla sua compagna. Una sera, dopo averle fatto il test di gravidanza, la portarono via”. Di lei sono rimaste solo le sue grida, la sua compagna non la vedrà più tornare. “Dopo mesi riuscì a scappare in occasione di un attacco delle forze militari del Ciad che ingaggiarono una battaglia con i Boko Haram per liberare il territorio. Ma il suo viaggio non finirà qui: incontrerà in Libia i trafficanti di donne e uomini che la seguiranno fino in Italia per farsi pagare il debito del viaggio. In Italia poi scappò ancora, questa volta dallo Sprar (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, ndr) dove era stata rintracciata, per sfuggire ai 'non hai altra scelta in Italia se non quella di fare la prostituta in strada' e 'non esiste posto dove puoi stata al sicuro'”. Adesso, con la fine degli orrori ed il riconoscimento di status di rifugiata, per la donna inizia una nuova vita. “Il nostro pensiero non può che andare oggi alle 219 studentesse nigeriane rapite nella scuola di Chibok dagli estremisti di Boko Haram proprio il 14 aprile di due anni fa” conclude Ines Rielli “che siano subito liberate!”
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La donna nigeriana, in carico al progetto Libera, ha ottenuto dalla commissione leccese il riconoscimento dello status di rifugiata. Era stata schiava sessuale di Boko haram. Esattamente a due anni di distanza dal rapimento delle 219 studentesse nigeriane per mano di Boko Haram, arriva dal Salento una storia terribile con un meritato lieto fine. Una donna nigeriana in carico al progetto Libera di Lecce, anch'ella schiava sessuale di Boko Haram, vittima di tratta e perseguitata nel paese di origine perché omosessuale, è riuscita finalmente ad ottenere lo status di rifugiata dalla commissione territoriale leccese. A darne notizia è Ines Rielli, responsabile del progetto, che racconta la sua epopea, simbolo di quanto le donne siano spesso costrette a subire prima di approdare sulle nostre coste: “E’ il giusto epilogo per una donna che per evitare discriminazioni, persecuzioni, violenze dovute al suo orientamento sessuale, è stata costretta a fuggire con la sua compagna dalla Nigeria”. Rapita insieme alla sua compagna dagli uomini di Boko Haram, ha subito ogni orrore possibile, tra violenze e stupri. Costretta a diventare una schiava sessuale, ha vissuto in una capanna di fango insieme ad altre donne che avevano subito lo stesso destino nella capitale dello stato federale di Borno, a Maiduguri, città della Nigeria completamente conquistata militarmente e islamizzata. “Alle donne venivano somministrati farmaci anticoncezionali che arrivavano in elicottero, come il cibo” racconta ancora Ines Rielli. “Se qualcuna di loro restava incinta, pagava con la morte. E’ ciò che accadde alla sua compagna. Una sera, dopo averle fatto il test di gravidanza, la portarono via”. Di lei sono rimaste solo le sue grida, la sua compagna non la vedrà più tornare. “Dopo mesi riuscì a scappare in occasione di un attacco delle forze militari del Ciad che ingaggiarono una battaglia con i Boko Haram per liberare il territorio. Ma il suo viaggio non finirà qui: incontrerà in Libia i trafficanti di donne e uomini che la seguiranno fino in Italia per farsi pagare il debito del viaggio. In Italia poi scappò ancora, questa volta dallo Sprar (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, ndr) dove era stata rintracciata, per sfuggire ai 'non hai altra scelta in Italia se non quella di fare la prostituta in strada' e 'non esiste posto dove puoi stata al sicuro'”. Adesso, con la fine degli orrori ed il riconoscimento di status di rifugiata, per la donna inizia una nuova vita. “Il nostro pensiero non può che andare oggi alle 219 studentesse nigeriane rapite nella scuola di Chibok dagli estremisti di Boko Haram proprio il 14 aprile di due anni fa” conclude Ines Rielli “che siano subito liberate!”